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132 emilio salgari


Mentre il traditore si allontanava, si era fatto innanzi l’arabo, il comandante di quella piccola stazione.

Di sangue arabo doveva averne ben poco nelle sue vene, perchè i suoi lineamenti non differivano molto da quelli dei negri equatoriali.

Invece di essere magro, ed agile, come lo sono i discendenti del Profeta, era invece alto, grosso, massiccio, con spalle larghe e braccia muscolose.

Non differiva che in due cose sole dai soliti tipi di negri: nei capelli che non erano nè radi, nè ricciuti, e nella barba, molto abbondante e nerissima.

— Anche tu? — chiese il tedesco, esasperato. — Hai qualche cosa da dirmi?

— Ho da darti un solo consiglio — disse l’arabo.

— E quale?

— Di non fare alcun tentativo di fuga se non vuoi perdere la vita. Ecco tutto quello che avevo da dirti.

Ciò detto, fece un cenno a quattro robusti negri. Questi sollevarono il malcapitato prigioniero e lo portarono in una vasta capanna costruita molto solidamente e piena di casse, di botti e di balle di mercanzia.

— Due uomini si fermino dinanzi alla porta — disse l’arabo ad alta voce, per essere udito dal tedesco. — Se tenta di fuggire, fategli fuoco addosso.

Ottone, ancora stupito da quell’inaspettato tradimento e dalla inaudita bricconeria del negro, stette parecchio tempo prima di rimettersi.

Quell’avvenimento si era svolto con tanta rapidità da non poter subito misurare la gravità della sua situazione. Fu solamente dopo qualche ora da che si trovava rinchiuso nella capanna che potè calcolare l’immensità della sua disgraziata situazione.

— E Matteo? — si chiese con angoscia. — Cosa sarà avvenuto di lui? E di me che cosa accadrà? Mi trovo nelle mani di gente che non si farebbe alcuno scrupolo d’uccidermi. E il Germania dove sarà stato spinto dal vento? Che io non lo debba più rive-