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il treno volante 145

dalle bestie feroci che accorrevano da tutte le parti, attirata dall’odore del sangue.

«Assistetti con orrore al festino atroce di tutte quelle fiere. Vi erano leoni, leopardi iene e sciacalli in gran numero.

«Il giorno dopo, fasciatami la ferita, mi mettevo in cammino per paura che i Ruga-Ruga tornassero. Fra le erbe avevo trovato un fucile, molte cartucce e anche una scure, e persino dei viveri dispersi dai portatori.

«A piccole tappe attraversai tutto l‘Ugongo e parte dell’Ugogo e mi arrestai in questi dintorni.

«La mia ferita si era talmente inasprita che io non ero più capace di fare un passo; per di più ero quasi morto di fame. Decisi di rimanere in quel posto e costruii una capanna, quella che avete veduta; poi, guarito, dissodai la terra, piantando patate dolci, granoturco e manioca.

«Oggi amo, quasi, queste foreste che percorro da tanti anni e non mi dolgo più della mia esistenza. Però vi confesso...

Il negro si era arrestato, alzandosi bruscamente in piedi. Si era riparati gli occhi con ambo le mani e guardava attentamente in direzione del fiume.

— Cosa vedi? — chiese Ottone, il quale si era pure alzato.

— Mi pare che gli arabi della stazione abbiano attraversato il fiume e che frughino le foreste.

— Vengono a cercarmi — disse Ottone.

— Prima che giungano qui, noi saremo lontani.

— Non dobbiamo abbandonare questi luoghi — rispose Ottone. — I miei compagni verranno qui a cercarmi e sarebbe una imprudenza imperdonabile allontanarci.

— Allora resteremo qui.

— La cima della rupe si presta ad una lunga difesa.

— Specialmente se la circonderemo con dei sassi. Prima che giungano io vado alla capanna.

— A cosa fare?

— Qui non abbiamo viveri, signore, e nemmeno acqua. Se ci assediano, soffiriremo la fame.