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il treno volante | 147 |
— Signore — disse il negro che si era sdraiato dietro la piccola cinta. — Gli arabi marciano attraverso la foresta.
— Si sono mostrati?
— Ho veduto una macchia bianca fra i rami d’un albero.
— Cosa credi che sia?
— Un arabo che è salito su una pianta per osservare i dintorni.
— Sono ancora lontani?
— Qualche miglio.
— Che ci scoprano? — disse Ottone.
— Gli arabi sono furbi e anche testardi. Non abbandoneranno le loro ricerche fino a che non ci avranno trovati.
— Sapremo difenderci. Bisogna resistere fino al ritorno dei miei compagni.
— E se non tornassero? — chiese il negro.
— Ti dico che verranno.
Si sdraiò presso il negro e si mise ad osservare i boschi che si stendevano alla base della collina, spingendosi fino sulle rive del fiume.
Gli arabi non si vedevano ancora; però non era difficile comprendere che si avvicinavano.
Di quando in quando degli uccelli si alzavano e volavano via mandando strida acute. In mezzo alle piccole radure, delle gazzelle e delle antilopi fuggivano con velocità fulminea.
Chi poteva spaventare quei volatili e quegli animali, se non gli arabi?
— Avanzano — disse Ottone, dopo un quarto d’ora.
— E vengono verso di noi — aggiunse il negro.
— Che abbiano scorto questo ridotto?
— È probabile, signore.
In quel momento si udì un colpo di fucile rimbombare in mezzo alle foreste.
— Sapete contro chi hanno fatto fuoco? — chiese il negro.
— Contro qualche animale?
— No, signore. Hanno sparato contro la mia capanna.
— Troveranno le tue tracce.