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trali sono quasi vuoti ed il vento è così debole da non impedire a quei selvaggi di seguirci.

— Prova un altro cilindro — disse il greco.

— È quello che sto facendo.

Senza più preoccuparsi delle urla dei banditi e delle continue fucilate, il tedesco prese un secondo cilindro e vi adattò la manica di gomma.

— Un altro che è vuoto! — esclamò con voce alterata.

— Anche questo? — chiesero Matteo ed El-Kabir con angoscia.

— E forse non sarà l’ultimo. Il Germania ricomincia a discendere.

— Continuate il fuoco voi.

— Quanti cilindri abbiamo ancora? — chiese Matteo.

— Sei.

— E se fossero tutti vuoti?

— Sarebbe finita per noi.

Gettò il cilindro vuoto, innalzando il Germania di cento metri e ne prese un terzo, poi un quarto.

L’idrogeno mancava in tutti.

— Non ne abbiamo che due ancora — disse, asciugandosi il sudore che gli bagnava la fronte.

Fortunatamente il settimo non era stato toccato dal traditore. Aperta la valvola, la canna si era subito gonfiata, mentre si espandeva per l’aria un acuto odore di gas.

— Siamo salvi! — esclamò.

Mentre il greco e l’arabo sparavano qualche colpo di fucile contro i Ruga-Ruga, i quali continuavano a seguire il Germania di corsa, Ottone, aiutato dal negro, riempì i quattro palloni del centro. Gli altri erano troppo lontani dalla piattaforma per poterli rinforzare. Tale operazione non si poteva fare che a terra.

— Per ora possiamo accontentarci — disse Ottone, lieto di quel successo.

Il Germania si era innalzato di altri cinquecento metri rag-