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— Ed io ti rompo la testa col calcio del fucile se non ci volgi subito le spalle, briccone insolente! — gridò Ottone.

Lo zanzibarese, vedendo il tedesco alzare il fucile, lasciò cadere la bandiera e fuggì a tutte gambe, urlando a squarciagola:

— All’armi! All’armi!

— Ritorniamo — disse l’inglese.

Avevano appena voltate le spalle, quando alcuni colpi di fucile partirono fra le macchie. Delle palle sibilarono agli orecchi dei due europei.

— Di corsa — disse l’inglese.

Raggiunsero rapidamente la cima della collina, e si ripararono dietro il muricciuolo, mentre gli schiavi ricominciavano a bombardare i boschi facendo rotolare enormi massi.

Gli arabi ed i guerrieri di Kilemba nondimeno continuavano a salire, riparandosi dietro i tronchi degli alberi. Di quando in quando facevano delle scariche colpendo la cinta.

I tre europei ed El-Kabir, inginocchiati dietro il muricciuolo, facevano fuoco sopra coloro che si mostravano e le loro palle non andavano tutte perdute.

Tuttavia non riuscivano a tenere indietro gli assalitori che, protetti dagli alberi, si avanzavano strisciando come serpenti e rispondendo vigorosamente.

Ad un tratto, comparvero presso il margine della boscaglia.

Con una scarica fulminarono quattro schiavi che stavano spingendo una grossa pietra, poi si slanciarono arditamente all’assalto, urlando come belve feroci.

Ma i tre europei e l’arabo li accolsero con fuoco così accelerato, da arrestarne la marcia: arabi e negri ripiegarono disordinatamente verso la foresta, lasciando sul suolo quattro morti e tre feriti.

— Non tarderanno a tornare alla carica — disse Ottone, lieto di quel primo successo.

— Pare che si siano perduti d’animo — rispose l’inglese. — Se potessi vedere questo Altarik! Ucciso il capo, gli altri non ardirebbero più farsi innanzi.