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Nella foresta vergine 119

Era fiato sprecato. Le caraja erano tanto occupate nell’eseguire quel coro infernale che non avevano nemmeno udita l'intimazione del ragazzo.

— Perderai inutilmente il tuo tempo, — disse Alvaro. — La tua voce non si ode fra questo baccano assordante.

— Ci vorrebbe un cannone, signore.

— Un buon colpo di fucile otterrà buon successo. Facciamo cadere giù il maestro. —

Il signor Viana, che come già sappiamo era un valente bersagliere, puntò il fucile e dopo d’aver mirato qualche istante fece fuoco in mezzo ai cantori.

Il maestro che stava urlando a piena gola chissà quale pezzo di musica scimmiesca, rimase colla bocca aperta strozzando di colpo la voce, poi si rizzò allargando le braccia, piroettò su se stesso strambuzzando gli occhi e precipitò al suolo con fracasso, rimanendo inerte.

I suoi compagni, terrorizzati, salirono sui rami più alti dell’albero urlando disperatamente.

Alvaro stava per slanciarsi verso il povero caraja quando udì una voce a esclamare in lingua castigliana:

Carramba! Che bel colpo! —

Il portoghese ed il mozzo, profondamente stupiti si erano vivamente voltati, credendo di essersi ingannati. Entrambi conoscevano abbastanza correntemente il castigliano, lingua già assai diffusa in quell’epoca come lo è oggi quella francese e avevano perfettamente compresa quella frase.

Un uomo era comparso fra due macchie d’arbusti e li guardava sorridendo, colle braccia incrociate sul petto.

Era un individuo sulla quarantina, di bella statura, che portava una lunga barba nera ed i capelli pure lunghi che gli cadevano sulle robuste spalle.

Quantunque la sua pelle fosse assai bruna, dai lineamenti regolarissimi, dalla taglia, dalla disposizione degli occhi che sono ordinariamente piccoli e anche un po’ obliqui negl’indiani, non sembrava che appartenesse alla razza brasiliana.

Eppure ne indossava il costume. Aveva un diadema di penne di tucano fissato sul capo, una sottanina di fibre vegetali, lucenti come la seta, poi un gran numero di collane e di braccialetti formati di denti di caimani e di belve feroci e sul petto uno strano trofeo che pareva composto di vertebre di serpenti.