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220 Capitolo Ventitreesimo.

— Affrettatevi, signor Viana, — disse Diaz. — Se quel guarà non ha più osato ricacciarsi nella foresta, è segno che sotto le piante si nasconde qualche vicino pericoloso.

— Che gli Eimuri non ci lascino mai in pace? Comincio ad averne perfino troppo di quegli antropofagi.

È ora di finirla!

— Pensate che io non sono capace di aiutarvi, anzi che vi sarei d’imbarazzo.

— Se quell’animalaccio non vi avesse ferito vorrei un po’ mostrare a quelle canaglie che io sono veramente l’Uomo di fuoco.

— Sì, Caramurà, — disse il marinaio, sorridendo. — Un nome terribile, signore, che vi renderà temuto presso tutte le tribù brasiliane.

Ecco un altro animale che fugge e anche questo un notturno! Brutto indizio!

— Oh! Il bel gatto! — esclamò Alvaro.

Un altro animale si era slanciato fuori dalla foresta fuggendo velocemente.

Era un bell’animale, dal corpo esile, dal pelame giallognolo con sfumature rosse e bianche, colla testa piccola assai, più grosso d’un gatto comune essendo lungo almeno mezzo metro.

— Un vermelho, — disse il marinaio, — e anche questo mi sembra spaventato.

— Ancora cinque minuti e la zattera sarà pronta. —

In quel momento un grido di gioia mandato dal mozzo, gli fece alzare la testa.

— I furbi! — aveva esclamato il ragazzo. — E noi non l’avevamo ancora scorta.

— Che cosa, Garcia? — chiese Alvaro.

— Vi è una scialuppa affondata, nascosta fra le piante acquatiche e legata al bambù che stavo per recidere. —

Alvaro in pochi salti aveva già raggiunta la riva.

In mezzo alle immense foglie delle victoria, che la nascondevano quasi completamente, si scorgeva una bella scialuppa affondata fino ai bordi superiori e trattenuta da una solida liana.

— Tira, Garcia. Con due foglie di banano la vuoteremo, — disse Alvaro.

— O meglio con una cuia, — disse il marinaio. — Ecco là una pianta che vi servirà per fabbricarvi dei mastelli. —