Pagina:Salgari - L'Uomo di fuoco.djvu/330

Da Wikisource.
324 Capitolo Trentaduesimo.

nale, — disse l'indiano. — Queste piante ci nascondono e anche ci riparano dalle frecce.

— Dove ci cercheranno?

— Certo fra le macchie.

— Non credevo che questa avventura finisse così bene.

— Andiamo, forza, uomo bianco. —

Continuarono ad avanzarsi radendo i paletuvieri e cercando di fare meno rumore che era possibile, finchè raggiunsero felicemente la punta estrema dell’isola.

L’avevano già superata oltrepassandola d’una cinquantina di metri, quando udirono una voce a gridare:

— Là! Là! Eccoli che fuggono!

— Maledizione! — esclamò Diaz.

Alcune ombre umane si erano precipitate fuori da una macchia, slanciandosi verso la riva.

— Abbassati! — gridò Rospo Enfiato, udendo sibilare in aria delle frecce.

Il marinaio di Solis si era già gettato nel fondo del canotto, quando udì parecchi tonfi.

— Ci assalgono a nuoto! — gridò.

— Ho la mazza, — rispose Rospo Enfiato.

— Afferra le pagaie!

— Le frecce volano e sono certo tinte nel vulrali. —

Diaz a rischio di riceverne qualcuna alzò la testa riparandola dietro la parte larga e piatta del remo che poteva, fino ad un certo punto, servire da scudo e guardò verso la riva.

Otto o dieci indiani balzavano come se fossero indemoniati, lanciando di quando in quando qualche freccia che si piantava sui bordi della canoa quantunque la distanza fosse già considerevole.

Altri sei o sette si erano gettati in acqua e nuotavano vigorosamente per assalire l’imbarcazione.

Si servivano d’una sola mano poichè nell’altra tenevano le mazze.

— Ah! Canaglie! — gridò Diaz.

— Vengono? — chiese il Rospo.

— Sono a breve distanza.

— Fuggiamo! —

Afferrarono le pagaie e approfittando del momento in cui gl’indiani rimasti sulla riva s’aprivano un varco fra i paletuvieri per diminuire la distanza e rendere più efficaci i tiri delle frecce, si