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Alla costa. 43

in tal modo una specie di catena che si allungava rapidamente verso il suolo.

Si tenevano le une le altre per la coda lunghissima imprimendo, con delle spinte poderose, all’intera catena, un movimento ondulatorio fra il tronco dell’albero e la riva del fiume.

Alvaro ed il mozzo, molto sorpresi, le osservarono curiosamente non sapendo, nè riuscendo ad indovinare dove le scimmie miravano. Le ondulazioni aumentavano sempre. L’ultima scimmia, che si trovava a soli cinque o sei metri dal suolo, coi suoi slanci giungeva talvolta fino in mezzo al fiumicello.

Ad un tratto con un’ultima e più vigorosa spinta la catena attraversò tutto il corso d’acqua e la scimmia che formava l’estremità s’aggrappò al ramo d’un acajero che cresceva sulla riva opposta, tenendosi ben stretta, mentre le compagne allungavano le gambe, appoggiandole sulle spalle o sulle teste delle vicine, formando in tal modo un ponte sospeso del più strano effetto.

— Ah! Le furbe! — esclamò Alvaro. — Ora ho compreso! —

Le scimmie che erano rimaste sul ramo, quasi tutte femmine, che portavano a cavalcioni fra le spalle dei piccini, s’erano slanciate senza esitare su quel ponte peloso, gridando a piena gola.

Raggiunta la riva opposta, issarono l’ultima scimmia fino ai rami più alti, poi quella che si teneva aggrappata all’acajaba si lasciò andare.

La catena, per la spinta, attraversò di volata il fiume e tutta la banda in un momento si trovò riunita sull'acajero manifestando la sua gioia con inestinguibili scoppi di risa e salti disordinati.

— Buon viaggio! — gridò il mozzo, vedendole slanciarsi da un albero all’altro per guadagnare il folto della foresta.

Salì su un ramo che si piegava sotto il peso delle frutta e fece cadere al suolo una pioggia di quelle bellissime pere.

Alvaro ne accolse alcune e le spaccò a metà. La loro polpa era diafana, quasi trasparente ed esaltava un profumo squisito.

— Se le scimmie le mangiano vuol dire che non contengono alcun veleno, — disse, addentandone una. — Perdinci! Come sono deliziose! Altro che le nostre pere d’Europa.

Il mozzo, a cavalcioni d’un ramo, le divorava a due palmenti dividendo pienamente il parere del signor Correa.

Ed infatti non avevano torto. Anche gl’indiani ne sono ghiottissimi e ne raccolgono in quantità enormi che poi seccano e riducono in farina, formando poscia delle focacce che nulla hanno da invidiare a quelle composte col miglior frumento d’Europa.