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L'incantatore di serpenti 315

color dell’oro, adorni d’una doppia cresta di piume mobili e di carattere assai battagliero.

Quando i viaggiatori giunsero in una piccola radura, Yaruri s’arrestò, accostò il flauto alle labbra ed intonò una marcia languida, bizzarra, che aveva delle variazioni lugubri.

Don Raffaele, Alonzo ed il dottore non fiatavano, ma quei suoni producevano su di loro un effetto che prima non avevano mai provato. I loro nervi certi momenti si eccitavano e poi, tutto d’un tratto, si calmavano e si sentivano invadere da una spossatezza inesplicabile.

— Cosa suona quell’indiavolato indiano? — diceva Alonzo. — Provo un malessere che non so spiegare.

— Attenzione! — esclamò il dottore.

Sotto i cespugli, sotto le foglie secche degli alberi giganti si udivano dei leggeri crepitìi che s’avvicinavano lentamente. D’improvviso apparve un serpente, poi un altro, poi altri dieci, venti, cinquanta, cento.

Da tutte le parti della foresta accorrevano, attratti da quella musica che doveva essere per loro irresistibile. Si vedevano strisciare gli urutù striati di bianco, con una croce sul capo; i giboia o boa constrictor, lunghi dieci e perfino dodici metri e grossi come la coscia di un uomo, ma affatto inoffensivi, anzi sono