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Sulle terre degli Ascianti 131

unitamente a delle erbe aromatiche trovate nella foresta e ve li gettarono dentro, coprendoli con cenere calda e poi con terra.

Livellato il terreno, vi accesero sopra un altro fuoco che dovevano conservare per un paio d’ore.

Antao e Alfredo, dopo d’aver assistito a quegli ultimi preparativi, si ritirarono sotto la tenda che era stata nuovamente rizzata, addormentandosi profondamente.

Non si svegliarono che verso le sei del mattino, alle insistenti e rumorose chiamate del bravo Asseybo.

I dahomeni avevano aperto il forno e levati i due piedi ed un grosso pezzo di proboscide, i quali fumavano sopra una grande foglia di banano selvatico, spandendo all’intorno un delizioso profumo.

I due cacciatori, ai quali l’aria fresca del mattino aveva stuzzicato straordinariamente l’appetito, non si fecero pregare per dare l’assalto all’arrosto.

Antao dovette confessare che quei pezzi del colosso africano potevano gareggiare coi migliori dei più grassi buoi e dei più grassi maiali. I negri poi fecero tanto onore a quell’arrosto, da non essere quasi più capaci di muoversi.

Fortunatamente Alfredo aveva accordato una mezza giornata di riposo, per lasciare tempo ai ladri di giungere ad Abetifi e per tagliare i due superbi denti del colosso, non volendoli abbandonare al primo venuto. Rappresentavano una bella cifra e potevano servire di gradito regalo al governatore di Abetifi per renderselo propizio e per avere aiuti contro le spie di Geletè.

Fu verso le quattro pomeridiane, quando il gran calore cominciava a scemare, che la piccola carovana si rimise in marcia, portando con sè i due colossali denti che i negri, dopo molto lavoro, erano riusciti a troncare a gran colpi d’accetta.

Le tracce dei fuggiaschi erano state smarrite forse perchè distrutte dall’irrompere impetuoso degli elefanti selvaggi, i quali avevano sconvolta la foresta, ma ormai Alfredo sapeva dove erano dirette le spie e questo gli bastava.

Essendo munito d’una buona carta e d’una bussola, era certo di giungere ad Abetifi anche passando attraverso la foresta e poi sapeva che al di là di quegli alberi doveva estendersi la gran pianura, sulla quale una città considerevole non poteva sfuggire agli sguardi.