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La Città Santa del Dahomey 183

mero e coraggiosissimi, invece di gettarsi impetuosamente sulla carovana come insegna la loro tattica, si erano arrestati, guardando con un certo stupore Alfredo ed Antao i cui ricchi costumi dovevano produrre un certo effetto su di loro, e soprattutto i due ombrelli, distintivi di persone altolocate o di famiglia principesca.

Il loro comandante, un negro di statura gigantesca, che indossava una lunga camicia di color verde, stretta alla cintura da una larga fascia rossa, dopo un po’ di esitazione si fece innanzi avvicinandosi ad Alfredo, il quale guardava alteramente tutti quegli armati, senza fare alcun gesto.

— Chi siete voi e dove vi recate?... — chiese il capo.

— Chi sei tu, innanzi tutto?... — domandò Alfredo, con tono imperioso.

— Un capo banda delle truppe del re.

— Non è con te adunque che io ho da fare.

— Ma tu non sei del paese.

— E cosa intendi di dire?...

— Che io posso catturarti ed anche ucciderti, se ciò mi aggrada.

— Tu!... — esclamò Alfredo, fissandolo con due occhi pieni di disprezzo. — I principi del Borgu non sono schiavi tuoi.

— Ah!... Voi siete principi?... — disse il capo, con tuono più umile. — Ma cosa fate qui, sulle terre del mio re?...

— È a Geletè che vedrò fra due giorni, che devo dirlo.

— Al re!... — esclamò il negro spaventato.

— Sì, a Geletè.

— E tu ti rechi da lui?...

— E mi attende.

— Potevi dirlo prima ed io non avrei osato arrestare degli uomini che il re aspetta.

— È sgombra la via che conduce a Kana?... — continuò Alfredo, coll’egual tono altero.

— Troverai altre bande.

— Che mi fermeranno e che mi costringeranno a lamentarmi con Geletè.

— Non farlo, principe, od il re farà tagliare la testa a tutti noi della retroguardia. Io ti farò una scorta che ti farà largo.

— Basterà uno dei tuoi uomini. Una scorta numerosa mi sarebbe d’imbarazzo. —