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222 Capitolo trentesimo

vertiva gli abitanti del Dahomey delle lagnanze dei defunti monarchi per la scarsità dei sacrifici umani, delle loro tremende minacce di mandare a soqquadro il regno e della decisione presa dal potentissimo Geletè di raddoppiare il numero delle vittime onde calmare gli sdegni dei fondatori della dinastia, e quindi la necessità d’intraprendere altre guerre coi popoli vicini per avere un gran numero di prigionieri da macellare. Terminò promettendo, in nome del re, una grande spedizione guerresca nei paesi dei Krepi e dei Togo e contro gli Jesa di Ckiadan, da intraprendersi dopo i raccolti.

Poco dopo, mentre il sanguinario capo dei sacerdoti si rinvigoriva lo stomaco tracannando una mezza bottiglia di ginepro, datagli dal re, le amazzoni allargavano le loro file per lasciare uno spazio sufficiente alle esecuzioni.

Venti schiavi, tutti uomini, colla testa adorna di penne d’uccelli e le braccia e le gambe coperte da numerosissimi anelli di rame, furono condotti sulla piazza. Quei disgraziati erano tutti capi di tribù, fatti prigionieri un mese innanzi al di là del Mono. Parevano rassegnati al loro triste destino, poichè non opponevano alcuna resistenza ai soldati che li spingevano verso la piattaforma reale, anzi mostravano una calma ammirabile.

Quei venti capi erano destinati a recarsi dai defunti monarchi del Dahomey per avvertirli, che d’ora innanzi, Geletè avrebbe meglio osservate le feste dei grandi costumi e che avrebbe sacrificato un maggior numero di vittime.

Prima che se ne andassero all’altro mondo a trovare i defunti, il re ordinò che si rinvigorissero con un bicchiere di ginepro e che si consegnasse loro una fila di cauris (circa lire 2,50) per provvedersi di che mangiare lungo il viaggio ed una bottiglia di rhum di tratta per dissetarsi, poi fece cenno al carnefice di cominciare le esecuzioni.

Fu l’affare di pochi istanti. Il gran giustiziere del re, un negro gigantesco che doveva essere dotato d’una forza prodigiosa, in pochi istanti, colla sua larga e affilatissima sciabola, aveva fatto cadere al suolo le venti teste.

Antao, nauseato, aveva fatto atto d’alzarsi per prorompere forse in invettive contro il sanguinario re, a rischio di compromettere la propria vita e quella dei compagni, ma Alfredo, con un gesto imperioso, l’aveva costretto a riprendere subito il suo posto.