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La baia di Tepliz 275

fields, biancheggiava stranamente pel riflesso di quelle masse enormi. Era l’ice-blink che scintillava in tutta la sua purezza, luce strana, abbagliante, che nemmeno i pesanti nebbioni possono offuscare completamente.

In alto volteggiavano pochi uccelli marini. Andavano, tornavano, s’alzavano o s’abbassavano senza mai dare uno strido, come se anche la loro voce si fosse gelata. Sui banchi invece poche macchie brune, che spiccavano vivamente su quel candore, indicavano delle foche.

Stavano accanto ai loro buchi, aperti pazientemente da esse per potersi tuffare e quindi venire a respirare.

– È finita, – aveva detto il capitano Evensen. – Per di qui non si passa.

– E dove trovare una baia? – fu chiesto dai membri della spedizione.

– Se S. A. R. vuole un consiglio, gli direi di tornare verso il sud e cercare rifugio nella baia di Teplitz, – rispose il capitano. – Forse è la migliore, nè saprei davvero trovarne altre che facciano per noi. D’altronde la Stella Polare ha avuto persino troppa fortuna, ed ha toccato una latitudine che io temevo di non raggiungere. Signori, ritorniamo prima che i ghiacci ci blocchino qui. –

Il consiglio del vecchio lupo di mare fu accolto all’unanimità, avendo tutti somma fiducia nella sua esperienza. D’altronde ogni passaggio era chiuso e non rimaneva che di tornare indietro e senza perdere tempo.

Poteva avvenire un movimento fra i ghiacci che rinchiudesse la Stella Polare e forse per sempre.

Prima però di decidersi, la nave percorse un lungo tratto di quella fronte massiccia, con la speranza di trovare più lontano qualche passaggio, poi, veduto che non vi era alcuna probabilità, S. A. R. diede il comando di mettere la prora verso il sud-est.

Anche il ritorno però non era facile.

Un movimento era avvenuto anche più al sud, ed i ghiacci si erano accumulati verso l’est rendendo la navigazione penosa.

Ad ogni istante la Stella Polare doveva prendere la rincorsa e lavorare di sperone per aprirsi il passo.