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La ritirata attraverso la foresta 103

midabile e repentino, abbattendo, nella loro cerchia, tuttociò che incontrano.

Bastano talvolta pochi minuti per cambiare aspetto a delle isole intere. Alberi giganteschi, vecchi di parecchi secoli e che pareva dovessero essere forti come le montagne, vengono divelti e trasportati lontani; gli edifizi più solidi vengono sfondati e tramutati in ammassi di rottami; le piantagioni, frutto di tanti sudori, scompaiono e là dove prima si vedevano splendide campagne, non si trovano poi che frane spaventose ed avvallamenti spogli d’ogni vegetazione, mentre sulle coste il mare invade le sponde spazzando via quanto trova e trascinando le navi addosso alle scogliere.

Dopo quei disastrosi sconvolgimenti seguono le grandi piogge, altro grave malanno per quelle isole del Golfo Messicano, così ubertose eppure così disgraziate. Rinfrescano bensì l’aria, ma cagionano la febbre gialla ed il vomito nero che tante vite umane miete annualmente. L’aria allora è talmente pregna d’umidità che corrompe ogni cosa. Le carni in ventiquattro ore ed anche meno, imputridiscono; le frutta siano pur raccolte un po’ acerbe, si guastano; il pane, se non è biscotto, ammuffisce; la farina, se non si ha la precauzione di conservarla entro botti e battuta in modo che acquisti la durezza della pietra, diventa inservibile; il vino inacidisce presto; le sementi non si salvano che con grandi cure e perfino i metalli soffrono perchè s’arrugginiscono subito.

Tali sono i malanni a cui vanno soggette quelle splendide isole, durante la stagione delle piogge, che comincia verso la fine del maggio e talvolta anche prima, prolungandosi per sei mesi ed anche di più.

Mentre l’uragano cominciava a brontolare minacciosamente, il drappello, guidato dal soldato, affrettava la marcia per giungere al rifugio.

Attraversato il piccolo corso d’acqua che cercavano, lo spagnuolo si era messo a costeggiarlo, aprendosi faticosamente il passo fra i fitti cespugli che crescevano sulla riva, seguito da vicino dalla marchesa, da Cordoba e dai marinai del Yucatan, due dei quali portavano ancora dei rami resinosi accesi.

Percorsi circa cinquecento passi, il soldato si arrestò alcuni momenti per orientarsi, poi rientrò risolutamente nella foresta, dicendo:

— Siamo vicini. —

Proprio in quell’istante una raffica impetuosa, improvvisa, si rovesciò sulla foresta facendo curvare le grandi foglie dei palmizi e gemere i rami dei cedri, degli aranci, e degli acajù, seguita quasi subito da un vivido lampo e da un tuonare furioso, come se negli immensi spazi del cielo fosse scoppiato un combattimento d’artiglieria.

Delle larghe gocce, tiepide come se fossero uscite da qualche immane caldaia in ebollizione, cominciavano a cadere con un cre-