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L’assalto dei negri 163

due valorosi negri strisciare lungo i solchi per allontanarsi inosservati. Nè l’uno nè l’altro sembravano feriti; per tema di dover subire il fuoco di una seconda scarica si erano lasciati cadere al suolo, fingendosi moribondi.

— Il diavolo vi porti, poltronacci!... — esclamò il lupo di mare. — Ehi, amico Quiroga, prendiamo il largo prima che giungano dei rinforzi. —

Attraversarono la batey ed uscirono dall’altra parte, cacciandosi in mezzo ad alcuni filari di canne che erano sfuggite all’incendio.

Un quarto d’ora dopo essi si trovarono ancora in mezzo alle palme, ai caobas, ai cedri, ai banani, ai manghi ed ai tamarindi della foresta, senza che i negri avessero osato di inseguirli e forse senza che avessero potuto scorgerli.

Volendo frapporre fra loro e gl’insorti il maggior spazio possibile, si arrestarono un solo minuto per dissetarsi ad un torrentello, poi ripresero la corsa internandosi sempre nella foresta e tenendo costantemente una direzione invariabile, cioè dirigendosi verso il sud-est per poter giungere al campo del capitano Pardo.

Quella marcia rapida durò quattro ore, poi entrambi sfiniti pel caldo, per la stanchezza e per la fame si fermarono sulle rive di una savana, sulle cui acque si vedevano volteggiare miriadi di beccaccini e di trampolieri.

— Auff!... Non ne posso più!... — esclamò il lupo di mare, lasciandosi cadere su di una radice che serpeggiava al suolo come un rettile gigantesco. — Se non troviamo qualche cosa da porre sotto i denti, io non farò più un passo.

— Io non vedo che un caimano che sonnecchia laggiù, su quel banco di fango, — disse lo spagnuolo. — I negri non si fanno pregare a mangiare la coda di quegli anfibi; però dubito che voi possiate vincere la ripugnanza che ispirano quelle brutte bestie.

— Dite piuttosto il profumo diabolico che le impregna e che non saprei tollerare. Puah!... Carne che puzza di muschio ad un chilometro di distanza!... Non ci vuole che lo stomaco d’un negro per mandarla giù!

— È vero, signore.

— Cerchiamo di scovare qualche cinghiale; una volta erano numerosi nelle savane.

— Gl’insorti, costretti a vivere di sola selvaggina, li hanno distrutti. Ah!...

— Cosa avete?...

— Io credo che voi siate fortunato.

— Avete veduto delle bistecche?...

— Vedo quelle macchie basse ad agitarsi.

— Allora della selvaggina si nasconde là in mezzo.

— Lo sospetto.

— Badate che invece non siano insorti imboscati.