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Prigionieri dei selvaggi 255

genio del bene. Mai la nostra tribù avrà mangiato in un sol colpo tanti uomini bianchi.

— Ce lo permetterà il capo bianco? Vedrà che sono suoi amici.

— Farà quello che vorremo noi.

— Che cosa devo fare?

— Affondare la barca di questi uomini per impedire che possano accorrere in aiuto del grande canotto.

— Siete pronti?

— Quando i fuochi che ardono sulle colline si spegneranno, le nostre barche assaliranno il grande canotto, — rispose lo stregone. — Oh! Erano venuti per portarci via il capo bianco! Avranno la sorte che è toccata ai compagni del capo, così più nessuno verrà a vendicare il massacro che abbiamo compiuto. Va, non perdere tempo. Sii svelto e abile. —

Lo stregone si gettò in mezzo alle felci e scomparve rapidamente senza far rumore. Il cacciatore di guanachi invece uscì cautamente dalla macchia e, vedendo che i tre piccoli gruppi continuavano a salire la collina, si mise a strisciare verso la spiaggia, tenendosi nascosto dietro i rialzi del terreno ed i cespugli di berberis. Scivolava senza far rumore, pari ad un serpente, guardandosi intorno, sapendo che dovevano trovarsi lì presso due marinai della scialuppa.

Giunto presso la riva, s’immerse in acqua, e, punto badando al freddo e alle onde, s’accostò silenziosamente al canotto che era stato tirato sulla sabbia.

In quel momento i fuochi che ardevano sulla cima delle colline si spegnevano rapidamente.

— Ecco il segnale, — mormorò. — Gli uomini bianchi sono nostri. —

Guardò verso il mare. La Quiqua aveva levate le àncore e sciolte le vele, e s’avanzava cautamente verso la costa per