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6 Capitolo I.


Si arrampicavano sugli strati, zappando poderosamente, sternutando e tossendo incessantemente, staccando lunghi pezzi che altri uomini s’affrettavano a deporre nei sacchi e poi imbarcare su certe galere chiamate balsas, per trasbordarli poscia sulla piccola nave che ondulava in mezzo al porto.

Di momento in momento delle detonazioni rimbombavano ed immensi squarci s’aprivano fra gli strati, mandando in aria nuvoloni di polvere che acciecavano tutti per parecchi minuti, sprigionando fetori tali da far fuggire perfino i sorveglianti.

Erano mine che scoppiavano per disgregare l’huano pardo, che opponeva una incredibile resistenza anche ai picconi, per quanto robustamente maneggiati.

Di tratto in tratto degli uomini cadevano semi asfissiati e venivano portati al basso, dove con una tazza di chicha — specie di birra fatta con maiz fermentato — si rimettevano ben presto in gambe per riprendere il duro lavoro e subire qualche ora dopo un’egual sorte.

I sorveglianti, una mezza dozzina, tutti di razza bianca, e armati di quei corti fucili a bocca larga, chiamati trabucos, per prevenire qualsiasi tentativo di ribellione da parte dei minatori, li aizzavano con minaccie e con imprecazioni senza fine.

Avevano fretta di finire quella vitaccia da cani che durava da sette mesi e di tornarsene alle loro case situate nello stretto, a Punta Arenas; quella vitaccia non meno dura di quella dei lavoranti, quantunque non costretti a maneggiare i pesanti picconi, nè ad esporsi agli scoppi delle mine che frequentemente riuscivano fatali.

— Sbrigatevi, — diceva un giovane aiutante, bruno come un meticcio, cogli occhi neri e vellutati e che masticava con visibile soddisfazione alcune foglie di coca mesco-