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capitolo xii — le pressioni dei ghiacci 99


Questi però non era uomo da spaventarsi: mancandogli il tempo di prendere una cartuccia, afferrò l’arma per la canna e servendosi a guisa di mazza, si mise a tempestare l’avversario con un vigore sovrumano e con una rapidità fulminea, mirando a colpirlo sul muso. Quell’abile manovra diede tempo a Jansey di giungere sul campo della lotta. Il capitano del Gotheborg non era da meno di Tompson e non era alle sue prime armi. Vedendo il compagno in pericolo, assalì l’orso a tergo e con due colpi di scure ben assestati riescì ad abbatterlo e per sempre.

– Grazie, Jansey, disse Tompson. Se tardavate ancora un po’, mi si spezzava il fucile.

– Lo credo, Tompson, rispose il capitano del Gotheborg.

Poi tutti e due si slanciarono verso il pilota che era rimasto sdraiato fra la neve. Il povero uomo era stato male conciato da quell’improvviso assalto. La sua giubba di pelle di foca era stata lacerata e gli artigli della belva gli avevano prodotte due profonde ferite alle spalle.

– Imprudente, gli disse Tompson. È stata una vera pazzìa scendere sul banco senz’armi.

– Non si era mai veduto un orso prima d’oggi, capitano, rispose il pilota.

– Ma voi sapete che quei furfanti, nascosti fra le nevi, attendono le prede per delle intere settimane.

– Bah!... Non mi ha poi divorato.

– Ma se tardavamo a giungere, quel birbante vi schiacciava il cranio come fosse un biscotto. Fortunatamente le vostre ferite non sono gravi e fra una settimana o due potrete riprendere le vostre funzioni.

I marinai della Torpa, giungevano allora da tutte le parti. Quattro di loro presero il pilota e lo trasportarono