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104 i naufraghi dello spitzberg


Il wacke, avendo ripreso la sua marcia attraverso l’oceano, non doveva più provare le pressioni, poichè i banchi galleggianti non dovevano tardare a diventare rari. La Torpa, sfuggita incolume all’ultima stretta, non correva alcun pericolo e poteva attendere tranquillamente lo scioglimento del grande banco e l’ora della liberazione.

Pareva che la corrente, al di sotto dell’isola degli Orsi, avesse acquistata maggior velocità, poichè il wacke si allontanava dalle sponde a vista d’occhio. Alle sei di sera era già lontano circa quattro miglia dal floe arenato e continuava la marcia, spostandosi però lievemente verso l’est.

Se avesse dovuto continuare quella rotta, sarebbe andato a infrangersi sulle coste occidentali della Norvegia e più probabilmente contro l’arcipelago delle Loffoden.

– Tutto va bene, disse Tompson, che osservava il mare munito d’un cannocchiale. Mio caro professore, se il diavolo non ci mette la coda, fra due o tre settimane noi avvisteremo le coste della Norvegia, e fra quattro o cinque avremo il piacere di stringere la mano a quel bravo signor Foyn.

– Il quale sarà molto contento di rivederci, capitano, rispose Oscar.

– Lo credo, disse il baleniere, ridendo. Rimarrà molto sorpreso nel vedere rientrare in porto la Torpa, proprio nel colmo dell’inverno.

– Siete un uomo fortunato, voi.

– Comincio a crederlo, professore. Non avrei mai creduto di ritornare prima dello scioglimento dei ghiacci.

– Non siamo però ancora a Vadsò, capitano.

– Non vi sono più pericoli ormai. Di passo in passo che scenderemo al sud, i banchi di ghiaccio divente-