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130 i cacciatori di foche della baia di baffin


venati o incrostati di tinte indefinibili che avevano i bagliori degli zaffiri e degli smeraldi.

Fuggivano verso le regioni del sud i gabbiani dalle candide ali, i piedi neri ed il becco giallo, frettolosi di guadagnare climi più miti; volteggiavano sopra le flottiglie gelide i grandi albatros, gettando le loro rauche grida che suonavano come un addio a quelle tristi regioni dalle nevi eterne; poi sfilavano grandi bande di gazze marine facendo un baccano indiavolato, le grosse oche bernide, le urie dalle penne nere ma colle ali bianche, le rapide strolaghe pure nere ma colle ali picchiettate di bianco e le procellarie fulmar, quelle assidue compagne delle terribili bufere.

Tutti fuggivano, tutti abbandonavano quella grande baia che stava per coprirsi di ghiacci, di nevi e di nebbie; che stava per tramutarsi in un immenso deserto di gelo, assolutamente inabitabile sia per gli uccelli marini, sia per gli animali e tanto meno per gli uomini; pure vi erano ancora alcuni che non retrocedevano dinanzi alla terribile discesa dei ghiacci polari.

Una grande barca, una di quelle grosse barche da pesca dal ventre assai rigonfio, di forme massiccie, munita di due soli alberi, sostenenti due vele latine di dimensioni enormi che vengono usate dai pescatori canadesi, s’avanzava intrepidamente incontro al nebbione ed ai ghiacci.

Sei uomini di forme robuste, coperti di vesti di pelle di foca, col cappuccio calato sul viso, con pesanti stivali da mare pure di pelle di foca e grossi guanti, stavano a prora intenti a respingere, con accanimento febbrile, i ghiacci che minacciavano di sfondare le costole della loro barca, adoperando dei lunghi buttafuori muniti di grosse punte di ferro.