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146 i cacciatori di foche della baia di baffin


– Che lusso, mastro Tyndhall! esclamarono i marinai, messi in buon umore da quell’ordine.

– Ve le siete meritate quelle due bottiglie, ragazzi miei, e poi abbiamo da discorrere e quando si chiacchiera bisogna bagnare la lingua.

– Ben detto, mastro. Si parla meglio e la lingua si sgela.

I sei marinai ed il mastro, senza occuparsi dei ghiacci che si fracassavano vicendevolmente con interminabili fragori, con cupi boati o con mille scricchiolii, nè del vento polare che tagliava gli orecchi, nè del freddo acuto, s’accomodarono sul cassero dinanzi al fumante arrosto, divorando con una voracità da pescicani e come uomini che non sono certi di poter fare all’indomani un nuovo pasto.

Mastro Tyndhall dava l’esempio, ma pur lavorando di mascelle, non perdeva di vista i ghiacci e soprattutto il nebbione che si avanzava nel mezzo della baia di Baffin, oscurando la pallida luce del sole ed i riflessi scintillanti dell’ice-blink. Pareva anzi che le sue inquietudini aumentassero, poichè crollava di quando in quando il capo e tra un boccone e l’altro borbottava.

Sturate le due bottiglie, ingollò tutto d’un fiato una grande tazza, come se quell’ardente liquore fosse semplice acqua, poi caricò flemmaticamente una grande pipa annerita, l’accese, e accomodandosi meglio che potè fra un mucchio di cordami, disse:

– Con questo nebbione non potremo lasciare questo pack protettore: possiamo quindi chiacchierare a nostro agio.

– Stavo per invitarvi ad aprire il becco, mastro, disse Charchot. La lingua è bagnata e comincia a scaldarsi.

– Ditemi, nessuno di voi ha indovinato lo scopo della spedizione?