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42 i naufraghi dello spitzberg


– Di già! – esclamò Tompson, aggrottando la fronte. – Ecco una sorpresa che non mi aspettava così presto.

Abbandonò la ribolla ad un timoniere e salì lesto le griselle dell’albero di trinchetto, fermandosi sotto le crocette sostenenti la botte dell’ice-master. Con sua grande sorpresa si trovò fuori dal nebbione addensato sul mare.

In alto scintillavano gli astri e la luna, la quale pareva un disco di metallo battuto, circondato da un gran cerchio di vapori e sotto, fino all’altezza della coffa dell’albero di trinchetto, si stendeva la nebbia sovrapposta a strati irrequieti, i quali si rigonfiavano qua e là sotto i soffi del vento.

Da quei vapori emergevano i due alberi della nave e le punte di numerosi ice-bergs ondeggianti sul mare, e verso il nord si vedevano erigersi dei picchi numerosi i quali proiettavano in aria quella luce scintillante, bianca come quella delle lampade elettriche, chiamata ice-blink. Quelle guglie di ghiaccio avevano una estensione immensa e si succedevano senza interruzione fin dove potevano giungere gli sguardi.

Il baleniere comprese, con un solo sguardo, che sotto quella selva di picchi doveva estendersi uno di quei campi immensi chiamati ice-fields.

– La via del nord è chiusa, è vero, ice-master? – disse.

– Sì, capitano – rispose il pilota dei ghiacci.

– Credi che troveremo degli altri banchi di tale specie, sulle coste occidentali dello Spitzberg?

– È probabile, se non ci affrettiamo.

– Scorgi alcuna vetta all’orizzonte?

– Ho puntato or ora il cannocchiale e mi è sembrato di aver veduto una macchia oscura.

– È il capo Sud della grande isola, pilota.