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56 i naufraghi dello spitzberg


Il baleniere non s’ingannava. Come il giorno innanzi, all’avvicinarsi del mattino il nebbione cominciava a dileguarsi. S’alzava a ondate, ma a poco a poco, quasi di mala voglia, lasciando il posto alla neve che cadeva in maggior copia.

Fra un quarto d’ora o mezz’ora, si poteva sperare di conoscere la situazione della nave.

Tompson si era portato a prora, e di là guardava attentamente i ghiacci che cominciavano ad apparire a breve distanza. Un vigoroso colpo di vento spazzò finalmente la nebbia, spingendola verso il sud-ovest.

Con un solo sguardo, il baleniere aveva subito compresa la gravità della situazione. La Torpa, come aveva sospettato, era stata rinchiusa nel mezzo d’un wacke, che aveva una estensione di quattro o cinque miglia.

Era entrata nel bacino d’acqua che si allungava in forma d’un canale, abbastanza largo per permettere ad una nave di correre delle bordate di due o trecento metri, credendo di navigare liberamente, finchè era andata a urtare contro l’estremità. Durante quella breve navigazione, il grande banco aveva incontrato degli ice-bergs di dimensioni enormi e questi, spinti dal vento, si erano cacciati nel canale chiudendo l’uscita.

Quei colossi non dovevano ormai più staccarsi, poichè altri ghiacci si erano accumulati dietro di loro ed avevano formato una massa sola, saldandosi al banco.

– Lo vedete? chiese Tompson, al professore. Non mi ero ingannato.

– Lo vedo – rispose Oscar, con voce sorda. – Siamo prigionieri.

– Lo avevo sospettato. Fortunatamente spero che l’Eis-fiord non sia lontano. Fra poco la nebbia si alzerà anche sulla costa e sapremo dove ci troviamo.