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cap. ix. — i cacciatori d’elefanti 133


Caricò rapidamente la carabina, mirò il colosso in direzione del cuore e per la seconda volta fece fuoco.

Fu un colpo mortale. La detonazione non era ancora cessata, che l’enorme animale precipitava al suolo, mandando un ultimo barrito.

— Durga, è nostro! — gridò Jean Baret. — Puoi raggiungermi.

Il luogotenente d’Amali, rassicurato da quelle parole, si slanciò fuori da un gruppo di cespugli, in mezzo ai quali si era fino allora tenuto celato.

— Tre bei colpi, signore, — disse.

— Che valgono il colpo di spada del cingalese. Ti pare?...

— Ne sono convinto. Ed ora che cosa volete fare di tutta questa carne?

— La lascieremo ai cingalesi.

— Peccato abbandonar loro anche queste belle zanne.

— Ci sarebbero d’impiccio, eppoi non abbiamo alcuna scure per tagliarle. Quando il tuo padrone diventerà marajah e mi nominerà suo grande cacciatore, ne raccoglieremo in abbondanza. Lasciamo il morto e pensiamo agli abitanti di Jafnapatam, che sono vivi e ben più pericolosi.