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242 sul mare delle perle


Il campo era già stato sgombrato dal marajah e dal suo numeroso seguito, il quale doveva essersi già recato sulle rive del lago.

— Andiamo — disse Amali, con voce un po’ triste. — Mostriamoci uomini.

Si misero in mezzo alla scorta e partirono a testa alta, senza dare alcun segno di paura o di debolezza.

Dopo un quarto d’ora giungevano sulla riva del lago, di fronte ad un isolotto coperto da canne immense.

Il marajah aveva fatto innalzare in quel luogo la sua tenda ed aveva preso posto dinanzi ad essa, su un piccolo rialzo di terra che gli permetteva di dominare un vasto tratto d’acqua.

Amali, appena giunto, aveva guardato verso il lago, arrestando i suoi occhi sull’isolotto, il quale non era lontano più di trecento passi.

— Vedi nulla? — chiese il capitano.

— No, ma vi sono quelle piante e sono così alte da nascondere anche l’alberatura della mia nave.

— Che Jean Baret sia nascosto là dietro?

— Io non lo so, eppure il mio cuore è tranquillo.

— Tu speri?

— Sì, Binda.

— Io invece credo che fra pochi minuti tutto sarà finito. Guarda che cosa fanno i cingalesi.

Amali abbassò gli occhi e vide dieci uomini che stavano unendo, con delle corde, due grossi tronchi d’albero che avevano allora abbattuti.

— Ci legheranno a quei tronchi — disse Amali. — Infami!