Pagina:Salgari - Un dramma nell'Oceano Pacifico.djvu/136

Da Wikisource.
130 capitolo decimoquarto.


— No, è vero; anzi ho dovuto due volte ringraziarti.

— Perchè allora quelle severe parole?

— Non posso spiegarmi.

— Cosa temete? Se io e i miei compagni siamo d’impaccio a bordo della vostra nave, alla prima isola che incontrerete sbarcateci.

— Ci penserò; tutto dipenderà dalla vostra condotta.

— Sta bene, signore, — disse Bill risentito.

Fece un saluto a miss Anna, e si allontanò dirigendosi verso poppa; ma quell’uomo era impallidito e le sue dita si chiudevano con forza, come se avessero voluto stritolare qualche cosa.

— Sei severo, padre mio, — disse Anna con tuono di rimprovero. — Non so perchè ti sia venuto in uggia quel pover’uomo.

— Lo saprai più tardi; non voglio ora arrischiare un giudizio terribile. —

Nella notte vi furono due allarmi che fecero salire sul ponte tutto l’equipaggio, essendo stati scorti alcuni canotti staccarsi dall’isola; ma al primo colpo di cannone fuggirono.

Il giorno seguente la condizione era invariata; la Nuova Georgia era sempre incagliata, e gli antropofagi accampati sulle sponde. Però fra poche ore quella pericolosa prigionia doveva cessare, poichè a mezzodì la grande marea doveva toccare la sua massima altezza e rimettere a galla il legno.

Il capitano, che sospirava l’istante di lasciare quei brutti paraggi, diede subito gli ordini necessari onde tutto fosse pronto per l’ora della grande piena. Fece alleggerire la prua della nave facendo portare a poppa le ancore grosse, le catene, le casse dell’equipaggio, le botti d’acqua dolce, gran parte dei pennoni di ricambio e perfino le gabbie delle tigri che occupavano la parte anteriore della