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142 capitolo decimoquinto.


— Eccolo là, seduto sulla murata di babordo.

— Sta bene; sarà il primo che la pagherà per tutti.

Si assicurò di aver alla cintola le pistole, sapendo già d’aver da fare con un furfante risoluto a tutto; si avvicinò alla murata e battendo sulle spalle del naufrago, esclamò:

— A noi, messer Bill!...

Il naufrago si volse con tutta tranquillità, ma nel vedersi dinanzi il capitano col volto corrucciato, impallidì leggermente, e i suoi occhi si piantarono subito sopra Asthor.

Nondimeno si rasserenò tosto, e scendendo dalla murata, gli chiese, incrociando le braccia sul petto:

— Cosa desiderate, capitano?

— Una spiegazione prima.

— Parlate, signore.

— Innanzi a tutto, di dove vieni?

Bill fece un gesto di sorpresa.

— Ma... da una nave naufragata, lo sapete bene.

— Tu mentisci!...

Bill trasalì, e ne’ suoi occhi guizzò un lampo sanguigno.

— Io!... — esclamò, stringendo le pugna.

Ma poi frenandosi e ridiventando tranquillo, aggiunse:

— Ditemelo voi allora, giacchè lo sapete meglio di me.

— Mi basta così per averti giudicato. Dimmi ora; per qual motivo la scorsa notte hai radunato nella stiva i tuoi compagni?

— Se parlate così è un’altra cosa — rispose l’assassino del povero Collin. — Volete proprio saperlo?... Ci siamo radunati per prendere delle deliberazioni intorno alla vostra rotta.

— Alla rotta della mia nave! — esclamò il capitano al colmo dello stupore.