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il naufragio della «nuova georgia.» 183


La caduta di quel colosso danneggiò gravemente la murata di babordo, ma il pilota si ripromise riparare il guasto a tempo più opportuno.

Terminati i diversi lavori, scesero nel frapponte per tentare di chiudere la falla aperta dall’incendio, la quale lasciava entrare di tratto in tratto le onde.

Quantunque misurasse quasi due metri di lunghezza e uno e mezzo di altezza, Asthor aiutato dai tre marinai riuscì ad otturarla alla meglio con delle materasse, tenute salde da parecchie tavole incrociate. Era un riparo momentaneo, inefficace contro le grandi ondate, ma poteva bastare per alcuni giorni e forse fino all’arrivo all’isola di Tanna.

Alle otto pomeridiane, nel momento in cui il sole si tuffava, o meglio pareva che si tuffasse in mare, la Nuova Georgia era pronta a riprendere la navigazione, interrotta da tante disgrazie.

Il capitano stabilì i quarti di guardia per non stremare le forze di tutti, cosa quanto mai pericolosa, essendo l’equipaggio così scarso e la nave troppo grande e così malamente attrezzata, non possedendo che un solo albero.

Asthor, Grinnell e Mariland dovevano montare il primo quarto; Hill, Fulton e Anna, giacchè questa non voleva essere da meno degli altri, e di manovra se ne intendeva, il secondo. Così almeno ognuno poteva riposare le sue quattr’ore, prima di riprendere il servizio delle altre.

Alle nove l’equipaggio spiegò le vele sull’albero di mezzana, sciolse un’altra vela stabilita a prua a mo’ di flocco, Asthor si mise al timone e la Nuova Georgia riprese a navigare con la prua rivolta al nord, ossia verso l’arcipelago delle Nuove Ebridi.

Il vento era debole e il mare un po’ agitato, però la notte era