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il naufragio. 191


a quel lembo di terra, perduto sul Grande Oceano, un aspetto non solo ridente, ma interessante.

Gli abitanti, il cui numero si faceva allora ascendere a tre o quattromila, non sono nè peggiori nè migliori di quelli dell’arcipelago intero, ma non certo perfidi come gli isolani di Tonga-Tabù e delle Figii, non avendo i navigatori che la visitarono, avuto mai da lagnarsi di loro. È bensì vero che al tempo della Nuova Georgia erano ancora antropofagi, ma non divoravano che i nemici uccisi in battaglia ed i prigionieri.

Fra le tante isole, che si trovano disperse su quell’immenso Oceano, era ancora una delle migliori a cui potevano approdare i poveri superstiti dell’equipaggio della Nuova Georgia.

Disgraziatamente minacciavano di toccare quella terra, che per loro rappresentava la salvezza, in tristissime condizioni. Infatti la caduta dell’albero di mezzana, avvenuta proprio nel momento in cui scoprivano l’isola, metteva in gran pericolo la sicurezza del vascello, che ormai si poteva considerare come un vero rottame in balìa delle onde.

Erano però tanto abituati alle disgrazie, che nessuno si spaventò troppo, quantunque corressero il pericolo di naufragare sulle scogliere dell’isola. Solamente Anna era impallidita, ma si era subito rimessa, fidando nell’abilità del padre suo.

— Asthor! — gridò il capitano, vedendo l’albero cadere attraverso il cassero. — Tieni salda la ribolla del timone e cerca di guidare la nave verso l’isola, e voialtri gettate in mare l’albero. —

I tre marinai assalirono l’albero a colpi di scure a fine di staccarlo completamente dal troncone; poi lo spezzarono sotto la crocetta essendo troppo pesante per le loro forze, indi lo spinsero nelle onde.

La Nuova Georgia, che piegava sul babordo a causa del peso, si