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il naufrago. 15


vino di Spagna. Il misero però si ostinava a non dar segno di vita, quantunque il cuore continuasse a battere debolmente sì, ma tanto da far sperare una non lontana ripresa dei sensi.

— Il povero uomo è stato conciato molto male, — disse il capitano. — Fammi largo, Asthor, onde possa visitarlo. —

Il naufrago poteva avere quaranta o quarantacinque anni. Era di statura media, ma tarchiata, muscolosa, che dimostrava una forza non comune; la sua pelle bianca in alcune parti e assai abbronzata in altre, portava dovunque delle tracce rossastre, dei tatuaggi strani ma non molto dissimili da quelli che usano farsi i marinai.

Il suo viso era tutt’altro che simpatico. Aveva i lineamenti duri, un naso grosso, rosso come quello di un gran bevitore, la fronte bassa come quella di un delinquente, la barba lunga, incolta, rossastra. Sul collo, verso il lato destro, vi si vedeva una ferita cicatrizzata di recente, e più sotto un piccolo foro che pareva prodotto da un colpo di coltello. Anche sul viso si vedeva un’altra ferita, la quale mandava ancora alcune gocce di sangue.

— Sono ferite gravi? — chiese miss Anna.

— No, figlia mia, — rispose il capitano, — poichè il ferro che le ha prodotte non doveva essere acuto.

— Chi può essere? Un marinaio?

— Non te lo so dire, ma... To’! cosa sono queste lividure che vedo ai polsi?

— Delle lividure?

— Sì, e molto marcate.

— Prodotte da che cosa?

Il capitano non rispose, ma aggrottò la fronte e scosse ripetutamente il capo.