vano i bifolchi, venivano i pastori di pecore e
dì capre, insieme con li paesani delle vicine
ville, credendo me essere uscito del senno, come
già era, e tutti con pietà grandissima dimandavano
qual fosse la cagione del mio dolore;
ai quali io niuna risposta facea; ma al mio
lacrimare intendendo, così con lamentosa voce
dicea: Voi, Arcadi, canterete nei vostri monti
la mia morte: Arcadi, soli di cantare esperti,
voi la mia morte nei vostri monti canterete. O
quanto allora le mie ossa quietamente riposeranno,
se la vostra sampogna a coloro, che
dopo me nasceranno, dirà gli amori, e i casi
miei! Finalmente alla quinta notte desideroso
oltra modo di morire, uscendo fuora dello
sconsolato albergo, non andai alla odiosa fontana,
cagione infelicissima de’ miei mali; ma
errando per boschi senza sentiero, e per monti
asprissimi e ardui, ove i piedi, e la fortuna
mi menavano; a gran fatica mi ricondussi in
una ripa altissima, pendente sovra al mare,
onde i pescatori sogliono da lungi scoprire i notanti
pesci. E quivi, prima che ’l sole uscisse,
a piè di una bella quercia, ove altra volta mi
ricordai essermi nel seno di lei riposato, mi
posi a sedere, nè più nè meno, come se questa
stata fosse medicina del mio furore; e dopo
molto sospirare, a guisa che suole il candido
cigno presago della sua morte cantare gli
esequiali versi, così direttamente piangendo incominciai:
O crudelissima e fiera più che le
truculente orse, più dura che le annose quercie,
ed a’ miei preghi più sorda che gl’insani
mormorii dell’enfiato mare, ecco che vinci già,
ecco ch’io muojo; contentati, che più non