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O Meliseo, la notte e ’l giorno infendoti,
E si fissi mi stan gli accenti e i sibili
Nel petto, che tacendo ancor comprendoti.

Summonzio.

Deh se ti cal di me, Barcinio, scribili,
A tal che poi mirando in questi cortici,
L’un arbor per pietà con l’altro assibili.
Fa che del vento il mormorar confortici:
Fa che si spandan le parole e i numeri;
Tal che ne soni ancor Resina, e Portici.

Barcinio.

Un lauro gli vid’io portar su gli umeri,
E dir: col bel sepolcro, o lauro, abbracciati,
Mentr’io semino qui menta e cucumeri.
Il cielo, o diva mia, non vuol ch’io tacciati;
Anzi, perchè ognor più ti onori e celebre,
Dal fondo del mio cor mai non discacciati.
Onde con questo mio dir non incelebre,
S’io vivo, ancor farò tra questi rustici
La sepoltura tua famosa e celebre.
E da’ monti toscani, e da’ ligustici
Verran pastori a venerar quest’angulo,
Sol per cagion che alcuna volta fustici.
E leggeran nel bel sasso quadrangulo
Il titol che a tutt’ore il cor m’infrigida,
Per cui tanto dolor nel petto strangulo.
QUELLA CHE A MELISEO SÌ ALTERA E RIGIDA
SI MOSTRÒ SEMPRE, OR MANSUETA ED UMILE
SI STA SEPOLTA IN QUESTA PIETRA FRIGIDA.

Summonzio.

Se queste rime troppo dir presumile,
Barcinio mio, tra queste basse pergole;
Ben veggio che col fiato un giorno allumile.