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Barcinio.

Poggiamo or su ver quella sacra edicola;
Che del bel colle, e del sorgente pastino
Ei solo è il sacerdote, ed ei l’agricola.
Ma prega tu che i venti non tel guastino;
Ch’io ti farò fermar dietro a quei frutici,
Pur che a salir fin su l’ore ne bastino.

Summonzio.

Voto fo io, se tu, fortuna, ajutici,
Un’agna dare a te delle mie pecore,
Una alla Tempesta, che ’l ciel non mutici.
Non consentir, o ciel, ch’io mora indecore;
Che sol pensando udir quel suo dolce organo,
Par che mi spolpe, snerve, e mi disjecore.

Barcinio.

Or via; che i fati a buon cammin ne scorgano;
Non senti or tu sonar la dolce fistula?
Fermati omai, che i can non se ne accorgano.

Meliseo.

I tuoi capelli, o Filli, in una cistula
Serbati tegno, e spesso quand’io volgoli,
Il cor mi passa una pungente aristula.
Spesso gli lego, e spesso, oimè, disciolgoli;
E lascio sopra lor questi occhi piovere;
Poi con sospir gli asciugo, e ’nsieme accolgoli.
Basse son queste rime, esili e povere;
Ma se ’l pianger in cielo ha qualche merito,
Dovrebbe tanta fe morte commovere.
Io piango, o Filli, il tuo spietato interito;
E ’l mondo del mio mal tutto rinverdesi;
Deh pensa, prego, al bel viver preterito,
Se nel passar di Lete amor non perdesi.