Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. I, 1935 – BEIC 1916022.djvu/211

Da Wikisource.

libro secondo - capitolo i 205


si dasse principio agli atti conciliari, procedendo tutti con piena libertá e con debito modo ed ordine. Il che disse il pontefice cosí con parole generali, per non esprimersi quali cose dovessero essere prima o dopo proposte e trattate, o lasciate in tutto, essendo risoluto che le cose della religione e de’ dogmi fossero principalmente trattate; senza addur altra ragione, quando fosse costretto dirne alcuna, se non che il trattar della riforma sola era una cosa mai piú usata, contraria alla riputazione sua e del concilio. Per il che l’ultimo di ottobre, avendo comunicato il tutto con li cardinali, di loro conseglio e parere stabili e scrisse anco a Trento che il concilio dovesse esser aperto per la futura domenica Gaudete dell’avvento, la qual doveva esser a’ 13 decembre.

Arrivata la nova, li prelati mostrarono grandissima allegrezza, vedendo d’essere liberati dal pericolo, che li pareva soprastare, di rimaner in Trento longamente e senza operare cosa alcuna. Ma poco dopo tornarono in campo le ambiguitá, perché arrivarono lettere dal re di Francia alli suoi prelati, che erano tre, di dover partire. Alli legati ciò parve cosa importantissima, essendo come una dechiarazione che la Francia ed il re non approvassero il concilio. Tentarono ogni pratica per impedire quella partita: dicevano alli tre prelati che quell’ordine era dato dal re in un altro stato di cose e che bisognava aspettarne un altro novo da Sua Maestá, poi che avesse inteso il presente; raccordando lo scandolo che ne sarebbe successo altrimenti facendo, e l’offesa che averebbono ricevuto le altre nazioni. Il Cardinal di Trento ancora, e li prelati spagnoli e italiani protestavano che non fossero lasciati partire. Per il che finalmente presero temperamento che solo monsignor di Rennes partisse per dar conto, al re, e gli altri doi

rimanessero; il che, quando fu saputo dal re, fu anche lodato.