Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/107

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libro quarto - capitolo ii 101


venivano canonisti; le qual trattazioni, per non interromper le materie, ho portate qui tutt’insieme. E perché il proposito fu di riformar la giurisdizione episcopale, per intelligenza delle cose che si narreranno in questa occasione e in molte altre seguenti, questo luoco ricerca che si parli dell’origine sua, e come, venuta a tanta potenza, sia resa alli principi sospetta e alli popoli tremenda.

Avendo Cristo agli apostoli ordinato la predicazione dell’Evangelio e ministerio de’ sacramenti, a loro, anco in persona di tutti li fedeli, lasciò questo principal precetto, di amarsi l’un l’altro e rimettersi le ingiurie, incaricando ciascuno d’intromettersi fra li dissidenti e componerli, e per supremo rimedio dandone la cura al corpo della Chiesa, con promessa che sarebbe sciolto e legato in cielo quello che sciogliesse e legasse in terra, e dal Padre sarebbe conceduto quello che doi dimanderanno di comun consenso. In questo caritatevole ufficio di procurar sodisfazione all’offeso e perdono all’offensore si esercitò sempre la Chiesa primitiva. E in consequenza di questo san Paulo ordinò che li fratelli, avendo liti civili l’un contra l’altro, non andassero a tribunali de infedeli, ma fossero constituite savie persone che giudicassero le differenze. E questo fu una specie di giudicio civile, sí come quell’altro piú similitudine ha col criminale; ma in tanto differenti dalli giudici mondani, che sí come questi hanno l’esecuzione per la potestá del giudice che costringe a sottoporsi, cosí quelli per la sola volontá del reo a riceverli: quale non volendo egli prestare, il giudicio ecclesiastico resta senza esecuzione; né altra forza ha, se non che è pregiudicio del divino, che seguirá secondo l’onnipotente beneplacito o in questa vita o nella futura. E veramente il giudicio ecclesiastico meritava il nome di caritá, poiché quella sola induceva il reo a sottoporsi, e la Chiesa a giudicarlo con tanta sinceritá del giudice e obedienza dell’errante, che né in quello poteva aver luoco cattivo affetto, né querimonia in questo, e l’eccesso della caritá nel castigare faceva sentir maggior pena al correttore; sí che nella Chiesa non si passava all’imposizione della pena senza