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76 l'istoria del concilio di trento


d’esser sprezzato da lui; che sarebbe stata un’infamia eterna, e un esempio a tutti di non riconoscerlo per papa. Esser grandissima l’inclinazione sua alla Francia e a Sua Maestá, e l’animo suo alienissimo dalli emuli di quello, e questo esser notissimo a tutto il mondo. Nondimeno esser cosí potente il rispetto sopraddetto, che quando Sua Maestá non vi porga rimedio, sará sufficiente di farlo gettar in braccio di chi non vorrebbe. Portava anco l’instruzione che se il re non si lasciasse indur a questo, lo pregasse a ben considerare quanti inconvenienti si tirerebbe appresso un concilio nazionale, e che sarebbe principio di metter li suoi soggetti in una licenzia, della quale si pentirebbe; e al presente causerebbe questo mal effetto, che impedirebbe il concilio generale, il che sarebbe la maggior offesa che si potesse far a Dio, e maggior danno alla fede e alla Chiesa. Lo pregasse di mandar ambasciatore a Trento, certificandolo che dalli presidenti e da tutti li prelati amorevoli di Sua Santitá riceverebbe ogni onore e rispetto. Al che non condescendendo, e perseverando in voler che l’editto resti, li proponesse, per levar ogni scandolo, temperamento di far una dechiarazione che con quell’editto non è stato sua intenzione d’impedir il concilio generale.

Il re, udita l’ambasciata, esso ancora mostrò come l’onor suo lo costringeva a perseverare nella protezione del duca e a mantener l’editto, ma con tal forma di parole, che mostravano sentir dispiacere delli disgusti e desiderio di rimediarvi. E per corrispondere al papa, mandò a lui monsignor di Monluc eletto di Bordeos, non senza qualche speranza di poter indolcire l’animo del pontefice. Ma per ogni officio che si fece, quanto alle cose di Parma restò nella medesima durezza, e rimandò l’istesso Monluc con commissione di dolersi col re che avesse mandato sino in Roma l’editto di un concilio nazionale, e lettere alli prelati sudditi suoi ancora in temporale, intendendo del vescovo di Avignone; la qual cosa tutto il mondo interpretava che non si facesse se non per impedir il concilio generale. E concluse pregando il re che, poiché l’uno e l’altro è risoluto, egli in perseverar nella correzione di Ot-