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lettere di fra paolo sarpi. 89

XXVIII. — A Giacomo Leschassier.1


Dalla supplica della quale V.S. eccellentissima mi ha mandato copia, conosco ch’ella non deve meno travagliarsi per far eseguire il decreto ottenuto, di quello che abbia dovuto fare per ottenerlo: ma tanto importa, per riparare all’audacia del clero, che quel decreto stia in essere, ch’è prezzo dell’opera il non mai desistere dalle fatiche. Prudentissimamente la S.V. ha rappresentato al re, che se al clero sarà permesso il colpire di censura le scritture degli avvocati, da queste facilmente si farà passaggio alle sentenze dei giudici, quindi agli editti regi, ed infine alle leggi, che sono i fondamenti della monarchia. V.S. mi aveva ancora per incidenza accennato, come l’arcivescovo di Acqui avesse ordinato a’ suoi preti di non dare nella pasqua l’assoluzione ai senatori di quella città; ma non prosegue ad informarmi come la cosa andasse a finire: il che io bramava assai di sapere. Tanto più che


  1. Edita in latino, tra le Opere dell’Autore (Helmstadt, VI, 29). Il celebre giureconsulto parigino e non meno dotto canonista al quale è diretta, era stato tra quelli che la Repubblica di Venezia aveva richiesti di consiglio nel tempo delle sue contese col pontefice; e per essa egli scrisse l’operetta intitolata: Consultatio de controversia inter sanctitatem Pauli quinti et serenissimam Rempublicam venetam; impressa la prima volta in Parigi nel 1607. Vuolsi che ne fosse rimunerato con una catena d’oro; ma certo non iscriveva per amor di guadagno colui che, in più altre guise benemerito della sua nazione, aveva potuto dissuadere ad Enrico IV una riforma economica, dannosa al popolo, benchè suggerita dal duca di Sully; e nel 1601, sotto il titolo di Malattia della Francia, aveva inveito contro la venalità e l’eredità delle cariche. Morì nel 1625.