Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/330

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270 lettere di fra paolo sarpi.

le persone non ingrandiscono se non per gradi ordinari e usitati, nessun può sperare oltre lo stato suo, nè fuori dell’età conveniente. In Roma, dove oggi si vede nel supremo grado chi ieri era ancora nell’infimo, la divinatoria è di gran credito.

Che miseria è questa umana di voler sapere il futuro! A che fine? Per schifarlo? Non è questa la più espressa contraddizione, che possi esser al mondo? Se si schiferà, non era futuro, e fu vana la fatica. Io nell’età di anni venti attesi con gran diligenza a questa vanità;1 la quale se fosse vera, meriterebbe che mai si attendesse ad altro. Ella è piena di principii falsi e vani; d’onde non è maraviglia che seguano pari conclusioni: e chi ne vuol parlar in termini di teologia, credo che la troverà dannata dalla Scrittura divina (Isai. c. 7.) Sono anco assai buone le ragioni di Agostino contro questa vanità. (De Civitate Dei, lib. 5, cap. 1, 3 e 4. Confession. cap. 3, 5; e 2 super Genesi, cap 16 e 17). Se costì fosse un re mutabile, che ricevesse in grazia oggi questo, domani un altro, l’astrologia piglierebbe molta fede; e se fosse giovane, perderebbe anco quella che ha. Io tengo poche cose per ferme, sì che non sia parato a mutar opinione: ma se cosa alcuna ho per certa, questa n’è una, che l’astrologia giudiciaria è pura vanità.

Io mi lascio trasportar dal piacere che sento nello scriverle, senza avvertire alla noia che Ella sentirà nel leggere. Non conviene che passi più in-


  1. Si noti, per la vita stessa del Sarpi; com’è degna di ritorcersi contro certi sedicenti filosofi del suo tempo quella risoluta sentenza colla quale conchiudesi il presente paragrafo.