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138 | lettere di fra paolo sarpi. |
con tanta petulanzia, che non vi si può aggiungere. Io non faccio dubbio che, udita la morte del re, non si sia venuto in deliberazione di comporre questo libro; perchè, per quanto tocca a Barclaio, bisognava farlo prima; ed è un voler tentare la pazienza de’ principi per passar più innanzi.
Credo, che la Repubblica non permetterà il libro: ma poichè io sono a parlar di Roma, bisogna bene che le dica una istoria dei Gesuiti di là. Saprà che in quella città vi è un grandissimo numero di sbirri, ed eccedono senza dubbio 150. I padri Gesuiti, vedendo che quella gente è dissoluta e vive poco cristianamente, hanno pensato di eriger nella loro chiesa una compagnia di soli sbirri, per insegnar loro la dottrina cristiana, ed esercitarli nella frequenza della confessione. E il governatore di Roma e quella corte hanno avuto in sospetto una così stretta pratica di quei Padri con i loro ministri. Se ne sono doluti col pontefice, perchè il vescovo di ***, essendo vicino alla morte, come anco morì dopo, gli aveva donato trenta mila scudi avanzati da lui: ma la Camera romana non ha approvato la donazione, e ha voluto che li danari siano spoglie, e se li ha applicati.1
- ↑ Il Bianchi-Giovini, riportando questo passo tra gli estratti coi quali accompagnò le Lettere da lui pubblicate, vi appose questa nota: “La Camera apostolica si è arrogata il diritto di ereditare le spoglie dei prelati morti. — Questo diritto incominciò, — dice Tomasini, — ai tempi dello scisma tra Urbano VI e Clemente VII (nel 1378): imperocchè quest’ultimo, il quale sedeva ad Avignone, essendo privato al tutto del patrimonio della chiesa romana in Italia, pensò, per mantener sè e i trentasei cardinali del suo partito, di riservarsi i più pingui benefici e le spoglie, tanto dei vescovi che degli abati e di tutti i beneficiari che morivano.„ (De Beneficiis tom. VIII, pag. 273.)