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56 | lettere di fra paolo sarpi. |
quella non s’appoggi. Ma guardi per che ginepraio io vo camminando. M’è forza servirmi di cotesta ragione con grandissima discretezza; perciocchè, in quella guisa che a me sta a cuore di assodare le usanze, gli avversari vanno per tal via patrocinando gli abusi. Io miro a questo: che i benefizi si conferiscano soltanto agl’indigeni, e non si gravino di pensioni. La pratica opposta ha causato intollerabili sconci, che sono difesi studiosamente dai romaneschi, pel motivo che così adoperano i pontefici, sapendolo, vedendolo nè facendo contrasto il Principe, il popolo e il clero. A me non mancano solidi e reali argomenti per mettere in luce la differenza; poichè la legge naturale non può dalla consuetudine abrogarsi nè infievolirsi. Non fo in vero quanto vorrei, ma qualche cosa pur fo.
Rispetto a ciò ch’Ella mi domanda circa la glossa, ove dicesi che il possessorio di cose spirituali è cosa temporale, io parlai secondo l’uso italiano. Noi diciamo spesse volte testo celebre, o glossa celebre, non perchè illustre ma perchè sfruttata, allegandosi di sovente nel medesimo senso. I nostri giureconsulti, e in specie del secolo precedente, non citano quasi mai; e se talora lo fanno, Ella riscontrerà che le allegazioni toccano il vero senso. Laonde coloro che sono di più squisito giudizio, quando i più interpretano un testo in senso non netto, lo allegano sì in quei termini, ma soggiungono: — è un testo celebre; — e ciò vuol dire che nella stessa significazione è riportato spesso dai dottori; comecchè a perfezione sappiano che essa è fuori del vero. Tale sarebbe la 6 l. de hom. in 6, contro gli uccisori per mezzo di assassini, un