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lettere di fra paolo sarpi. 89

guerra con tanta avidità desiderata già più anni, gli è stata mostrata e subito sottratta dalla vista. Nè il mettersi in una guerra sarà senza pericolo, dovendosi dar le armi in mano ad uno che sarà sempre da temere, sia qualsivoglia. E l’unione del popolo, mentre non è infetto di Diacatholicon, si conserverà; ma quando i Gesuiti useranno l’arte, di che avranno gran comodo, nascerà il pericolo. Bisognerà tener per fermo, che il bene di Roma e di Francia sono incompatibili;1 e se la regina non intenderà questo punto, le cose passeranno male. Il bene di una è la concordia di detti principi; e il bene dell’altra è guerra di religione.

Io temo che la naturale superstizione e l’arte de’ Gesuiti impedirà dal conoscere il bene. Dio sopra sta a tutte le cose, e muta i cuori secondo il suo santo beneplacito. Qui si aspettava ch’essendo il regno armato, e non mancando de’ danari raccolti, facesse risoluzione di proseguir la guerra oltre i disegni e fini del re defunto, per vendicare anco la sua morte. Io ho sempre creduto, in contrario, che per ritrovarsi il re pupillo, fosse necessario attendere alle cose interne e lasciar affatto il pensiero delle esterne. Sebbene mi verrà risposto che anco il re di Spagna è sotto tutela, e molto più di cotesto; poichè egli uscirà un giorno, ma quello non ne uscirà mai. Ma vi è gran differenza dalla flemma


  1. Questo concetto medesimo è nella Lettera CXLVI (pag. 97), la quale è tra quelle che taluni (per qualunque siasi scopo) si sforzeranno di mettere tra le apogrife. Nulla noi volemmo occultare nè palliare; nulla accrescere nè sminuire: somministriamo i documenti e i materiali che ci occorsero, ai filosofi per giudicar l’animo, ai biografi per iscriver la vita del Sarpi.