Pagina:Satire (Giovenale).djvu/107

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prefazione cvii

confesso, ha risonato più volte nella mia immaginazione, mentre attendevo a questo lavoro; e me n’avrebbe affatto distolto e allontanato, se fin di principio, e poi seguitando, non avessi avuto sempre in animo di dar piuttosto a me stesso un’occasione di piacevole e non disutile esercizio, che di far cosa da andare per le mani degli altri: e per questa parte devo dire che l’esito ha pienamente risposto all’intenzione, poichè nella mia vita già prossima a svettare la cinquantina, poche ore mi son passate così dilettosamente come quelle che ho spese a lottare col focoso e battagliero Censore romano. Se poi io abbia peccato di troppa correntezza e fatto opera vana lasciandomi persuadere, un poco dall’amor proprio — e chi non ha questo benedetto amor proprio? — un poco da persone autorevoli, a dare alle stampe questa mia versione, non sta a me a giudicarlo; e me ne rimetto in tutto alla sentenza che ne daranno gli uomini competenti; seppure alcuno vorrà pigliarsi la fatica di leggerla e confrontarla colle altre. Certamente io non mi picco di aver fatto cosa perfetta, e che gl’intendenti non abbiano a trovarvi nulla da ridire. Ciò sarebbe imperdonabile presunzione e ignoranza del come è impossibile contentare tutti i gusti in qualsiasi materia, ma particolarmente in opera d’arte. Quello, di cui mi confido, si è di avere fatto un po’ meglio degli altri: e questo mi sia lecito dire senza tirarmi addosso la taccia di superbo; perchè se dicessi