Pagina:Satire (Giovenale).djvu/40

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xl prefazione

con ciò vuole intendersi ch’egli avrebbe voluto ritrarre Roma e l’impero da quella cloaca di vizj e di turpitudini, in cui l’aveano travolta il cieco assolutismo dei governanti, e la pecoresca servilità dei sudditi; e ricondurla a quella libera semplicità e rettitudine dell’antico vivere; quando «una modesta fortuna, i brevi sonni e le mani incallite al tosco filatojo mantenevano in castità le latine donne;1 quando alcuno che era stato dittatore e console tre volte, vedeasi, all’ora posta, scendere colla zappa in ispalla dallo scassato monte, per recarsi a un invito di pranzo;2 quando insomma i tempi poteano dirsi veramente felici, perchè una sola carcere in Roma bastava a tutti i colpevoli; mentre di presente, ancorchè la più gran parte del ferro si consumasse in catene, tanto da doversi temere che verrebbe a mancare per l’uso dell’agricoltura, non vi era più sicurtà neppure nella capitale».3

Chi disse Giovenale repubblicano, forse volle dir democratico. E democratico infatti egli si rivela in più luoghi: non di quella democrazia dissennata, che adula e lusinga le plebi, facendo loro sperare l’impossibile; bensì di quella, che pigliando a cuore i veri bisogni e le sofferenze delle infime classi, fa ogni opera di rialzarne il

  1. Sat. VI, 289 segg.
  2. Sat. XI, 86 segg.
  3. Sat. III, 309 segg.