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Pagina:Satire (Persio).djvu/77

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L’ugna viva). Degg’io farmi con brutta
     Fama il disnor di sobrj affini, e il danno?
     234E il censo biscazzar per una putta,
Mentre mi sto di Criside al tiranno
     Bagnato limitar, già spenti i lumi,
     237Ebbro cantando l’amoroso affanno?
— Coraggio, figliuol mio, fa senno: ai Numi
     Depellenti a ferir corri un’agnella.
     240— Ma la relitta, o Davo, e non presumi
Che piangerà? — Tu beffi, e la pianella
     Rossa in testa vuoi pur. Via, putto in frega,
     243Non tremar, non smagliar rete si bella.
Or fai l’aspro e il crudel: ma se la strega
     Ti richiama, dirai: che far degg’io?
     246Or che spontanea mi rappella e prega,
Resterò, non v’andrò? Ma, padron mio,
     Se a colei ti toglievi intero e netto,
     249No, non v’andresti nè pur or per dio.
Questi, si questi è l’uom ch’io cerco, il petto
     Libero; non colui che da bacchetta
     252Vile è percosso di littore inetto.
Quel palpator, cui parmi non permetta
     La candidata ambizíon mai posa,
     255Vive ei donno di sè? Veglia, t’affretta,
Di ceci ingozza la plebe rissosa,
     Onde il nostro Floral sedenti al sole
     258Membrino i vecchi. Che più dolce cosa?
D’Erode ecco le feste. Di víole
     Inghirlandate, ed in bell’ordin messe
     261Su finestra unta, dalle pingui gole