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70 | capitolo quindicesimo |
Ridemmo lungamente di questo gioco: eran seicento i viglietti, de’ quali altro non mi ricordo. Ma Ascilto con somma licenza e colle mani alzate, facea beffe di tutto, e piangea del gran ridere; perlocchè uno de’ liberti di Trimalcione, che restava appunto al di sopra di me, ne prese collera, e sì gli disse: che ridi tu, castroncello? forse non ti piacciono le splendidezze del mio padrone? se’ tu più felice di lui? Hai tu migliori conviti? Così mi sia propizia la divinità di questo luogo, come io, se fossi vicino a colui, gli avrei di già applicato uno schiaffo. Bel soggetto veramente da farsi beffe degli altri! Un biante notturno, che non val l’urina, ch’ei piscia! Che s’io mi metto a pisciargli addosso, non sa dove fuggirsene.
Io non soglio, perdio, scaldarmi assai presto, ma e’ non bisogna aver carne per non sentir de’ vermi. Ei ride; e cosa ha egli da ridere? forse tuo padre ha comperato gli agnelli non nati per trarne lana? se’ tu cavalier Romano? Ed io son figlio di re. Perchè dunque hai servito? tu mi dirai: perchè mi resi schiavo volontariamente, volendo piuttosto essere cittadino romano, che principe tributario: ed ora spero io di vivere in modo, che nessuno abbia a beffarsi di me: qual uomo libero io vo’ colla fronte alta in mezzo agli altri, e non devo un soldo a nessuno. Non mi fu intimata mai veruna citazione, nè in alcun tribunale mi fu mai detto: paga i tuoi debiti. Ho acquistato qualche solco, ho i miei paiuoli, do a mangiare a venti bocche, non compresi i miei cani, ho redenta la moglie mia, onde nessuno si asciugasse le mani ne’ suoi capegli, e spesi mille ruspi per torle questa macchia: poi venni fatto gratuitamente un de’ sei, e spero di morire in tal guisa, che io non abbia ad arrossir dopo morte.
Ma tu sei dunque sì occupato da non poterti guardar dietro? Tu vedi dunque il pidocchio sugli altri, e non la zecca sopra di te? a te solo sembriam noi dun-