Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/132

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76 capitolo quindicesimo

Non crediate ch’io scherzi; non direi una bugia per tutto l’oro del mondo. Ma per continuare il mio discorso, dopo che fu diventato lupo cominciò ad urlare e fuggì nei boschi. Io dapprima non sapeva dove io mi fossi: andai poi per levarne i vestiti, ma essi eran diventati di sasso. Chi morirà di paura, se io non morii? strinsi tuttavia la spada, e tagliai l’aria di qua e di là, tanto che giunsi al villaggio della mia bella. Appena fui entrato nella porta credei di basire; colavami il sudor pei calzoni, gli occhi erano tramortiti, appena insomma potei rinvenirmi. La mia Melissa maravigliavasi come io avessi viaggiato di siffatta ora; se tu fossi venuto prima, mi disse, mi avresti almanco aiutato: imperocchè egli venne un lupo nel paese, e peggio d’un macellaio ci ha svenato tutto il gregge. Pur sebben sia fuggito, ei non ha troppo a riderne, perchè il nostro famiglio gli ha passato con una lancia il collo da una parte all’altra. Quand’io sentii questa cosa i’ non potei più batter palpebra, ma venuta l’aurora me ne volai qui a casa del nostro ospite come un mercadante svaligiato e giunto al luogo, ove gli abiti eran divenuti di sasso, altro non vi ritrovai che sangue. Allora poi ch’io giunsi a casa, il mio soldato giaceva in letto come una bestia, e un chirurgo fasciavagli il collo. Seppi di poi ch’egli era stregone, e dopo quel dì non volli più mangiar pane con lui, quand’anche mi avesse ucciso. Nulla mi cale che altri tenga di ciò opinion diversa della mia: ma s’io dico bugia, voglio che gli Iddii vostri mi puniscano.

Questo racconto avendoci tutti storditi, Trimalcion disse: oltre che tu l’hai detto, egli dov’essere certissimo ciò che hai detto, e che mi ha fatto dirizzare i capegli, perch’io so che Nicerota non suole dir fandonie, anzi ch’egli è veritiero, e non fanfarone; diffatto io pure cosa orribile vo’ narrarvi, quanto orribil sarebbe un asino che volasse.