Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/134

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78 capitolo quindicesimo

diverti in verun modo? pur solevi esser grazioso, cantar delle ariette, e recitar bellamente qualche squarcio drammatico. Ohimè ohimè! voi passaste, o bei tempi!

Ah sì, rispos’egli, i miei carri hanno compiuto il lor corso, ond’è ch’io son fatto gottoso: allorchè però io era giovane, divenni, cantando pressochè tisico. Che saltare? che recitar scene? che accomodar barbe? Appena Appellete potea starmi del paro.

Dopo ciò messo la mano alla bocca fischiò un certo qual suono, che poi disse esser di maniera greca: locchè affermò Trimalcione, dandosi ad imitare i flautisti, e volgendosi poi alla sua gioia, che chiamavasi Creso. Era costui un ragazzaccio cisposo, con sporcissimi denti, il qual volgea in una fascia color di porro una cagnuccia nera e grassa fino alla nausea, e ponea sopra il letto un mezzo pane, che le facea mangiare sino al vomito; della qual gentilezza Trimalcione avvedutosi ordinò che fosse condotto Scilace, che era il guardian della casa, e di tutta la famiglia. All’istante venne condotto un cane di grandissima mole, legato alla catena, cui il portiere ordinò con un calcio di sdraiarsi, ed egli si distese davanti la mensa. Allor Trimalcione gittandogli un pan bianco, non avvi, disse, nessuno in mia casa, che mi ami più di costui. Sdegnato il ragazzo ch’ei lodasse Scilace così sbracatamente, mise in terra la cagnuccia e l’aizzò contro lui. Scilace, secondo il costume cagnesco, empiè la sala di orrendi latrati, e stracciò quasi la Margarita di Creso. Nè a questa lite fermossi il rumore, perchè venne altresì rovesciata una lampada, di cui si ruppero i cristalli, e si sparse l’olio bollente addosso ad alcuno dei commensali.

Trimalcione per non parere in collera di questo accidente, baciò il ragazzo, e gli comandò di salirgli sulla schiena. Egli andò subito, e messoglisi cavalcioni gli batteva col palmo delle mani le spalle, e ridendo chie-