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122 | capitolo ventiduesimo |
Dio arbitro delle umane cose non avesse carpito un segnale dal ragazzo nascosto, io deluso sarei ito cercandolo per le osterie. Gitone però più dolce di me fasciògli prima di tutto con tele di ragno inzuppate nell’olio la piaga che avea nel sopracciglio, di poi levatagli la veste il coprì col suo mantelletto, ed essendosi già raddolcito abbracciollo, e diegli più baci quasi a medicamento, e disse: noi siamo, carissimo padre, noi siamo, sotto la tua salvaguardia. Se tu ami il tuo Gitone comincia per volerlo salvare. Dio volesse che un fuoco nemico me solo incenerisse! Dio volesse, che un cuor procelloso m’ingoiasse! perchè di questi infortunj sono io il soggetto, son io la cagione. Che se io perissi, tutti i rivali ne avrebber vantaggio.
Eumolpione commosso agli affanni sì di Encolpo, che di Gitone, e principalmente non insensibile ai vezzi del fanciullo, voi siete al certo bene sciocchi, ci disse, che forniti di tante qualità potete esser felici, e avevate invece una vita affannosa, ed ogni giorno andate crucciandovi con nuovi guai. Io per me ho sempre vissuto, come se fossi presso a finir i miei giorni, e non tornar più indietro, cioè in santa pace: se volete imitarmi, lasciate tutti questi fastidj. Qui vi perseguita Ascilto; fuggitelo, e venite con me in paese straniero, ove son per andare. Io anderò sopra una nave, che forse parte stanotte: là son conosciuto e sarem bene accolti.
Prudente ed utile parvemi questo consiglio, perchè mi liberava dalle molestie di Ascilto, e più felice vita prometteva. Vinto dalla umanità di Eumolpione mi pentii grandemente della ingiuria poc’anzi fattagli e della mia gelosia cagione di tanti mali.
Dopo molte lagrime io il pregai ed esortai che meco si rappattumasse, dicendogli non essere in poter degli amanti il furore della gelosia, ma che avrei ben curato di nulla più dir nè fare che l’offendesse, e ch’egli come maestro di buone arti, doveva ogni stizza toglier dal-