Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/193

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processo, guerra, e trattato di pace 137

alla sua virilità minacciò di voler troncare la causa di tanti guai, ma impedì Trifena un delitto sì grande, promettendogli perdono. Più volte io pure mi posi alla gola un coltello da barbiere, con tanto pensier di uccidermi, quanto ne avea Gitone di far quello ch’ei minacciava. Ma egli rappresentava più francamente la parte sua, perchè vedeva di aver quel rasoio, col quale già erasi tagliata la gola.


Erano i due partiti in faccia un dell’altro, nè parea che il combattimento avesse a rallentarsi, tanto che il piloto stimolò bruscamente Trifena, acciò a guisa di parlamentario provocasse una tregua. Data dunque e ricevuta la vicendevol promessa, giusta l’antica usanza, ella distese un ramoscello di ulivo preso dalla immagine della divinità protettrice del legno, ed entrata arditamente a parlare, così disse:


Qual di guerra furor pace a noi toglie?
Or che fecimo noi? non qui trasporta
Il nemico troian la dolce moglie,
De l’ingannato Atride,
5Nè Medea furibonda
Col sangue del fratel tra noi combatte;
Ma un disprezzato amore
Qui spiega il suo furore.
Deh chi l’arme incalzando infra quest’ire
10Chi affretta la mia sorte?
V’ha cui non basti la mia sola morte?
    Ah non vogliate vincere
        Il mare in crudeltà!
        Ah non scavate il vortice
        15Che poi c’inghiottirà.


Come la donna si fu con questo appassionato gridore manifestata, la zuffa rimase alquanto sospesa,